Ehi papà, vuoi venire con me a fare un giro in bici sulla Magna Via Francigena?
Il mio babbo ha 65 anni, non ha mai preso un aereo in vita sua, non è un grande viaggiatore; lavora come medico di famiglia e fa qualche giro in bici la domenica… ma questa volta, inaspettatamente, mi ha detto di sì!
Mi son dato due pizzicotti. Appena mi sono ripreso dalla sorpresa ho prenotato un volo e gli ho mandato la lista delle cose da portare: caschetto, borraccia, pantaloncini, tre paia di mutande, due magliette e i sandali… tanto andiamo in “Africa”!
Lui mi ha detto che ha accettato perché voleva fare un’esperienza nuova, qualcosa nella sua routine ha fatto click! Ma son sicuro che ha accettato anche perché manca dalla terra di suo padre da quasi 40 anni; il nonno Saverio era il classico siciliano “allignato”, come si dice in dialetto, sereno e baffuto, la persona più integra e onesta che abbia mai conosciuto.
Giorno 1: Verona-Palermo
Ed eccoci, io e il mio babbo, in partenza dall’aeroporto di Verona direzione Palermo, dove ancora abita una sua cugina, Silvana, l’altra invece sta nella città natale del nonno Saverio, Sciacca; queste due città, una al nord e l’altra a sud dell’isola, saranno anche i nostri due punti cardinali, di partenza e arrivo. Vogliamo percorrere la “Magna Via Francigena”, un sistema viario che collega i due principali porti della Sicilia occidentale, che attraverso antiche trazzere, tratturi, sentieri di montagna e strade lastricate, permetteva lo spostamento di merci e persone dai Greci almeno fino ai Borbone.
Ma torniamo a noi: il viaggio in aereo non lo scombussola più di tanto che già siamo sul bus che da Punta Raisi ci porta a “Panormos” (Tutto porto, in greco), o come piace chiamarla a me , “Balarm”, in arabo; mi piace il suono che fa, non descrive la sua posizione geografica ma mi fa pensare ad una danza che culla un bambino, che lo avvolge con le sue braccia fatte di montagne e lo stringe al petto, di fronte ad uno sterminato mare all’orizzonte.
Ecco arrivare Silvana, Mariella e suo marito Calogero: i baci e gli abbracci non riescono a mascherare lo stupore, la tensione e la sorpresa di ritrovarsi di fronte dopo tanto tempo; finalmente Michele ti sei deciso a scendere in “Africa”, si scherza!
Continuiamo a parlarne davanti ad un grillo bianco ghiacciato e ad un piatto di pasta con le sarde, l’atmosfera si distende e il sole di fine aprile scalda i cuori: l’afa è inusuale per questa stagione e senza nemmeno accorgercene finiamo seduti ad un tavolino con un bicchiere di granita al limone: sì, siamo in Sicilia! Verso metà pomeriggio ci ricordiamo improvvisamente che siamo venuti fin quaggiù anche per percorrere la Magna Via, in bici, così telefoniamo a Cesare e Valentina, che ci noleggiano due mountain bike e ci augurano buon viaggio. A loro dire la Magna Via va percorsa a piedi e pare che nessuno si sia mai avventura to sul tratto in bici… OK, facciamo noi, proviamoci! Solo nei prossimi giorni capiremo perché…
Stasera siamo “A Casa di Amici”, un nome una garanzia, un ostello musicale poco lontano dal centro.
Giorno 2: Palermo-Santa Cristina Gela-Corleone
Sveglia ore 7.00, vogliamo partire presto per evitare di pedalare nelle ore più calde, da quello che ho capito si parte dalla Cattedrale di Palermo e si arriva alla Cattedrale di Agrigento, una breve visita, dopo di ché il traffico di via Calatafimi, che sale verso Monreale, sembra inghiottirci; neanche il mosaico dorato all’interno della Cattedrale, secondo come grandezza solo alla Santa Sofia di Costantinopoli, ci appaga. Vogliamo lasciare la città e perderci nell’ignoto, quel paesaggio che non sappiamo aspettarci dell’interno della Sicilia.
Ci ritroviamo a spingere le bici come muli sulle pendenze proibitive di una ex cava fino ad un bivio. Piana degli Albanesi a destra, famosa per i suoi cannoli giganti e la comunità albanese che abita e colora il borgo con le sue tradizioni: una delicatezza del posto sono le “cassatelle”, da mangiare al mattino, ancora calde: una sorta di cannoli ripieni di ricotta, fritti al momento.
Qui il babbo fa la sua prima esperienza del “chiedere indicazioni”: io lo avevo messo in guardia, tante volte è inutile chiedere alla gente del posto la fatidica frase “quanto manca?”: lo so per esperienza, non tutti abbiamo la percezione dei percorsi a piedi, meno ancora in bici, e le distanze, soprattutto quando si va su e giù, sono molto soggettive. Stiamo spingendo e pedalando in salita in un bella sughereta quando il babbo chiede ad un contadino quanto manca per Santa Cristina Gela: la reazione è avvincente: “Eeeeeeeeeee!, saranno almeno due ore, e come fate con le bici!?!?!”. Io ho una misura ben diversa sulla mappa e dico al babbo di tenere duro e continuare a salire. Morale: dopo 20 minuti siamo seduti ai tavolini del bar da Frank ad ordinare birra e panini con prosciutto e verdure grigliate!
Abbiamo definitivamente lasciato l’arte e il caos di Palermo, siamo in aperta campagna, circondati da montagne alte fino a 1600 metri, (infatti a Santa Cristina Gela, nonostante il nome e il caldo, non si trovano né granite né gelati, solo d’estate!). In basso il lago di Piana degli Albanesi e noi che ci arrampichiamo lungo l’antica trazzera che collega Santa Cristina Gela a Corleone, che ci spezza fiato, braccia e gambe! Quando arriviamo in cima il solito contadino ci chiede perché siamo saliti da lì e non dalla sua campagna, sarebbe stato molto più facile… i mortacci…io comincio a pedalare ignorando le imprecazioni del babbo che però dimentica tutte le fatiche scendendo la strada che serpeggia sull’altro versante della valle. Guadiamo il Belìce sinistro e Corleone sembra essere un miraggio…siamo in ballo da quasi 10 ore e gli ultimi chilometri che ci separano dalla meta ci fanno sentire dei veri pellegrini, nel senso sofferto del termine. Il babbo inizia ad essere molto stanco ma è tenace e il risotto ai carciofi per cena lo riporta sulla terra, condito da fiumi di birra! Non lo facevo un “birragustaio” il mio babbo!
Giorno 3: Corleone-Prizzi-Castronovo di Sicilia (Totò e Francesca)
In Sicilia il 1° maggio è “lo Schiticchio”, si fa la scampagnata con gli amici, in giardino o fuori casa, si arrostisce l’impossibile, si fa il pane, la pizza, si mangia tutto il giorno in compagnia.
Partiamo un po' in ritardo da Corleone perché la parrucchiera del paese e Sandra, una turista spagnola, insistono che le seguiamo a vedere le cascata:” non potete andare via senza vedere la cascata...” qui la gente è così, bisogna farsi catturare sempre, gli eventi sono imprevedibili… riprendiamo quindi il cammino e incontriamo tre pellegrine che rassicurano il mio babbo che oggi sarà la tappa più dura del viaggio, si sale ai 1000m di Prizzi! Figuratevi che noi ne dobbiamo fare due di tappe oggi!!
Qui si percorre la campagna con tratti che alternano asfalto consumato e sentieri di campagna melmosi in mezzo ai cardi spinosi (meglio scarponcini e pantaloni lunghi che sandali e shorts da bici), certo però quando si arriva ad una masseria tutta di sasso con le vacche che pascolano libere e il fattore Giuseppe che esce dalla macchina e ti mette la ricotta appena fatta sotto il naso (che deve essere gialla non bianca!) tutti i graffi sulle gambe vengono dimenticati all’istante. Prizzi ci appare dalla distanza, sotto un sole cocente: è il 1° maggio, in giro non c’è anima viva: i pochi che non sono a fare lo “schiticchio” sono barricati dietro le persiane.
Prizzi ci appare così, come un presepe, troppo ripida per essere esplorata, così ci accontentiamo di fotografarla. A pranzo mangiamo pane e arance, fino a quando l’ex direttore dell’ufficio postale di Prizzi, che ci racconta delle 4 rapine che ha subìto, pistola in bocca, ci convince a provare al bar di Marino, l’unico aperto: lì c’è Sandro, il fratello, che in vetrina ha solo sfoglie con crema e cannoli: optiamo per i secondi, una delizia, con scorza d’arancia e pistacchi, ci tirano su la pettorina, come dice il babbo. Ora siamo carichi per continuare il viaggio!
Quasi tutta la prossima tappa si svolge all’interno della riserva naturale del monte Carcaci, un paradiso di piante e uccelli, dove regna una tranquillità irreale; ci fermiamo solo per riparare una ruota bucata e proseguiamo per la strada sterrata che sia arrampica gentilmente sulle pendici del monte. Allo scollinamento vediamo qualcosa di strano o quanto meno inaspettato: sulla sinistra i resti di quello che sembra un villaggio abbandonato, chissà quando chissà perché: una chiesa sventrata, ancora in piedi con tanto di campanile ma manca il tetto, abitazioni a due e tre piani, un tempo abitate forse dai contadini, questo era un villaggio a tutti gli effetti. Ipotizziamo il terremoto del Belìce ma ce ne andiamo con il dubbio…
Ci separiamo alle porte di Castronovo: io seguo il sentiero che scende nel bosco, il babbo continua lungo la strada che porta in paese e va a prendere contatti per pernottare, ormai sono quasi le 7 di sera. Quando ci incontriamo nella piazza del municipio la cena è già fissata, nonostante sia il 1° maggio il bar ha deciso di tenere aperto per noi e “qualcosa ci farà trovare per cena” ha detto il titolare. Così noi incontriamo Francesca che ci fa dormire a casa della nonna, attrezzata per accogliere pellegrini e turisti. Ci racconta che stava per fare le valigie ed andarsene però ha deciso di restare e scommettere su questo tipo di turismo: in città è l’unica che parla inglese, quando passa qualche straniero la chiamano, “gli altri manco l’Italiano, ci dice!”.
Dopo la doccia andiamo da Gattuso, al bar, e l’unica cosa che scegliamo per la cena è il colore del vino, bianco o rosso; il resto arriva così, dalla cucina: formaggi locali, bruschette, pasta con ragù bianco, asparagi e finocchietto, arrosto di agnello e patate, mandorle, cannoli…tutto casereccio! Una cena che ci ricorderemo! Castronovo ci ha accolti a braccia aperte e noi ci facciamo coccolare prima di crollare, sfiniti, a letto. Non sarà un caso che l’abitazione della nonna di Francesca si chiami Casa Paradiso. Buonanotte!
[qualche giorno dopo conoscerò Totò, amico e “futuro sindaco” di Prizzi]
Giorno 4: Castronovo di Sicilia-Sutera-Racalmuto (Giuseppe e Chiara)
La crostata fatta in casa che ci ha lasciato Francesca sul tavolo è ottima, marmellata di arance amare, Slurp! La ruota di ieri è ancora bucata e guardando con attenzione ci accorgiamo che c’era un pezzetto di fil di ferro incastrato nel copertone, ripariamo e vai! Oggi il programma dice tre tappe: Cammarata-Sutera-Racalmuto. Il tempo sta cambiando, l’afa dei giorni scorsi è sparita, ci mettiamo le calze e lo spolverino, le previsioni danno pioggia e 10 gradi in meno. Riguardo gli appunti sul mio diario, sono telegrafici ed evocativi: “salita illegale - vento forte in cima - Crinale per Sutera fantastico – grandine pioggia variante per Racalmuto”.
La giornata è stata ricca di sali e scendi; a Cammarata i vigili si sono presi cura delle nostre bici finchè al bar Sicilia ci facevano assaggiare il loro caffè marocchino (senza zucchero) e ci spiegavano la profonda differenza fra un cannolo e un cannolicchio (cannolo piccolo) …se volete sapere qual è andate a chiedere!
Ora il vento: oggi spirava forte, era la classica giornata di vento in faccia, chi va in bici la conosce bene: non importa in che direzione tu vada, ci sono giornate che avrai il vento contro tutto il giorno, va così! Allora ti metti a testa bassa e spingi sui pedali, pian pianino con perseveranza. Allo scollinamento siamo sfiniti e ci gustiamo i pezzi di rosticceria presi al bar, con le spalle appoggiate al muro di una chiesetta, il sole e il vento in faccia.
Il crinale che ci conduce a Sutera mi ricorda le creste delle alpi, tanto è esposto e affilato, solo che al posto della neve qui c’è l’argilla; il vento ci fa traballare e ringrazio di avere le borse dietro piene che mi tengono ben saldo a terra. Sutera è giustamente inserita nella rete dei borghi più belli d’Italia, solo che noi oggi la vediamo solo attraverso un bicchiere di coca-cola, troppo presi dalle fatiche fatte e che ci aspettano per esplorarla.
[Qualche giorno dopo conoscerò Giuseppe, il factotum della città, che con suo figlio e “il professore” mi porterà a conoscere questo gioiello sperduto nell’entroterra siciliano che è Sutera!]
Decidiamo di non guadare il fiume Platani ma proseguire per la strada provinciale, che allunga il percorso ma è più pedalabile, si sta facendo tardi e sta iniziando a piovere. Arriviamo a Milena, lì ricevo la telefonata di Chiara, dell’albergo di Racalmuto, a 10km, che mi chiede dove siamo e se abbiamo bisogno di aiuto, sapeva che stavamo viaggiando in bici; io guardo il cielo, sembra una pioggia leggera, così ringraziamo e ci ripariamo sotto la tenda di un bar, appena spiove ripartiamo.
Infatti, presto ci ritroviamo in sella, ancora sulla provinciale e non sul percorso della trazzera che passa per le montagne, oramai sono le 6 di sera e puntiamo ad arrivare. Sento mio babbo che da dietro esclama che ormai tutto è passato quando il boato di un tuono rimbomba nel cielo e si scatena una pioggia torrenziale. Non facciamo nemmeno in tempo ad accorgercene e siamo “mizzi”, bagnati fradici dalla testa ai piedi. Devo dire che il momento più difficile è quando passi dall’essere asciutto a “bagnaticcio”, poi una volta che sei fradicio, che sguazzi nelle scarpe, il corpo si abitua e la situazione diventa anzi simpatica: io adoro soffiarmi il naso e cantare a squarciagola con la pioggia torrenziale, dobbiamo pedalare al centro della strada perché ai lati si sono formati due torrenti nel vero senso del termine, rossi per via della terra argillosa, insomma è uno spasso!
La strada sale per ripidi tornanti e arriviamo alla città natale di Leonardo Sciascia felici e completamente zuppi: bravo papà! Anche stasera siamo gli unici avventori dell’unico hotel in città, gestito da due ragazzi giovani, ubicato in un palazzo storico in centro. La sera usciamo e ci imbattiamo nella statua di ferro di Sciascia che passeggia sul marciapiede del paese, vorremmo invitarlo a cena con noi.
Giorno 5: Racalmuto-Joppolo Giancaxio-Agrigento e Sciacca
Ci svegliamo che fuori piove ancora, così ce la prendiamo comoda e tergiversiamo, asciughiamo i vestiti e le scarpe col phon, facciamo colazione con calma. Verso le 10 il tempo sembra migliorare e cogliamo l’occasione per partire: una trentina sono i km che ci separano da Agrigento, la tappa sulla carta sembra fattibile e tranquilla. Però alla prima deviazione ci accorgiamo che la pioggia di ieri ha complicato un poco le cose, rendendo alcuni tratti impraticabili: l’argilla bagnata si attacca alle ruote e alla forcella della bici e blocca le ruote, rendendo impossibile pedalare. Ci ritroviamo impantanati nel fango, poi quando la strada si fa più ripida decidiamo di ripiegare e percorrere la strada provinciale fino ad Aragona: qui ci aspetta Calogero, nome molto diffuso nella provincia di Agrigento, che ci consiglia di non seguire la traccia della MVF (Magna Via Francigena) ma girare attorno al monte, variante tanto bella quanto apprezzata che ci permette di evitare la salita e godere di una stupenda strada di campagna che ci conduce a Joppolo Giancaxio, ultimo paesino prima di Agrigento, dove ci concediamo un gelato al limone; il tratto finale che conduce alla città dei templi non è fattibile in bici ed entriamo in città alle spalle della cattedrale; qui inizia a piovere forte, la stanchezza accumulata nei giorni precedenti è dipinta sul volto di babbo Michele e dimentichiamo di far timbrare la credenziale del pellegrino alla Cattedrale e pedaliamo veloci fino all’albergo, dove laviamo per l’ennesima volta le scarpe piene di fango i vestiti e le bici. Siamo giunti alla meta, papà sei stato tenace! Complimenti.
Giorno 6: Ritorno
La trasferta siciliana del babbo è terminata, questa mattina riparte alla volta di Verona, della vita quotidiana e di un po’ di meritato riposo. Prima di partire gli chiedo a bruciapelo com’è andata e lui, uomo di poche parole, si emoziona un attimo e mi lascia intendere che ha provato emozioni forti in questi sette giorni, dovute all’incontro con le sue cugine, alla fatica del viaggio, alla cordialità dei Siciliani incontrati lungo il percorso, le passeggiate nei luoghi della sua infanzia, quando con il nonno passavano un mese nella natìa Sciacca dopo un viaggio interminabile a bordo di una Fiat 500, la granita al limone… tutto questo lui non lo dice ma lo pensa … e chissà cos’altro gli frulla in testa. Ma una cosa la dice: “questo è un viaggio che affronterei a piedi, in compagnia, con calma, per esplorare quest’angolo di Sicilia e conoscere un po’ meglio chi abbiamo incontrato lungo il percorso, tornerò!”
Una cosa la dico anche io:” Ogni paese, bar, ristorante, piazza che incontriamo lungo il percorso rispecchia un po’ il carattere dei siciliani DOC, è riservato, timido, non si palesa all’avventore ma aspetta di essere scoperto, la soglia varcata, all’inizio ci vuole coraggio ma poi, capìta l’antifona, ci si abitua a questo carattere cordiale, introverso e ospitale; gente onesta e semplice come il nonno Saverio amante delle cose buone e del confronto sincero. Buon viaggio!
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[La Magna Via è fatta anche di cannoli pistacchio e arancia candita, panini di Frank e birra, niente gelato fino all’estate; l’entusiasmo di Totò, giovane “sindaco” di Prizzi, con la “z” silente; Giuseppe il factotum di Sutera, il professore e il tracciato originale della Magna Via; Francesca, che con le valige in mano è tornata indietro per gestire la casa della nonna, grazie per la crostata; caffè marocchino no sugar a Cammarata e cannolo non cannolicchio; pasta con le fave e ricotta da Marino, fatta come la farebbe mia mamma, i ragazzi dell’ostello più musicale di “Balarm”; l’accoglienza di Chiara concittadina di Sciascia, gli innumerevoli “schiticchi” lungo la strada il 1° maggio, che solo il profumo ci mandava fuori strada; l’argilla, onnipresente lungo il percorso, così come i cardi spinosi, occhio!: scarponcini, pantaloni lunghi e santa pazienza sono d’obbligo se ha piovuto; il mio babbo che con la sua tenacia tornerà per farsela a piedi!]
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La versione di Michele, il papà di Ernesto, sul viaggio in Sicilia.
Ho accettato, sì, il tour in Trinacria pensando: due ore di pedalata al giorno in scioltezza, e poi: il giro dei luoghi, il sole. il pesce, le granite, i cannoli .... Sciacca e i parenti!! Ahi, ahi, ho fatto male i miei calcoli: tour sì, ma ... de force! Che immane fatica la via dei pellegrini (!) in mountain bike; terreno a tratti impossibile, salite stroncanti (fatte quasi sempre a piedi, trascinando il mezzo), tempo non sempre clemente, ma ... quanto divertimento! Stanchezza appagante, luoghi meravigliosi, incontri con un popolo di grande umanità e disponibilità. Non mi soffermo sulle varie tappe già descritte dal figliolo Ernesto, a cui vanno i complimenti per l'ottima organizzazione, sia logistica (pernottamenti ottimali, vero riposo del guerriero), sia tecnica (giusta dotazione), e soprattutto per il supporto morale (la convinzione che ne saremmo comunque sempre usciti, nonostante le difficoltà). Che dire, al fine? Quasi quasi, lo rifarei!
Scritto da Ernesto |